martedì 10 ottobre 2006

Corvi neri

Un altro giorno è andato. E un altro ricomincia, un po’ troppo presto, come se la pausa non fosse sufficiente nemmeno per un respiro profondo.

Noi uomini del giorno e della notte dimentichiamo l’alba e gli uccelli rumorosi. Gli uccelli hanno come una frenesia attorno all’alba, non riescono a stare zitti un minuto. È il loro momento, quando ancora poca gente è in giro ed i rumori delle macchine rade si sentono in lontananza. Loro si dicono molte cose, come se fossero importanti. Fanno piani per la giornata, forse.

Sciocchi, ché la giornata andrà avanti come sempre, con piani o senza piani, per loro come per me, con nascite e con morti, con dolore e felicità, con stanchezza ed allegria.

È la loro domenica in piazza, un’allegria di cinguettii di chi ancora crede. Poi più niente. Poi solo il grido dei corvi. Un po’ spaventoso.

In Italia non ci sono i corvi. Li conosciamo attraverso le fiabe nordiche e ci abituiamo fin da bambini a pensare che siano animali come tutti gli altri, senza sapere. Li assimiliamo alle nostre cornacchie, o addirittura ai piccoli merli. E non è vero: i corvi dovrebbero esserci esotici come i koocaburra che ridono, o i pellicani silenziosi. I corvi gridano come uomini ed hanno becchi affilati come quelli dell’aquila. E sono grandi che all’inizio si fa un po’ fatica ad abituarcisi.

E così mi alzo a studiare. Uno sforzo che faccio da sempre, da quando mi sono laureato con mio figlio sulle ginocchia alla mattina presto prima di andare a lavorare: vent’anni fa. Allora era importante. Adesso mi aiuta a far finta che lo sia.

Col borbottio della moka che mi augura il buon giorno ed il sapore amaro del caffé a cui non so resistere da tutta la vita e che ancora mi da un brivido di piacere mescolato al disgusto.

Anche gli uccelli si sono azzittiti. Questo vuol dire che il tempo passa. Mettiamoci al lavoro, va...

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