mercoledì 15 marzo 2006

Cambiare o interpretare

Cosa deve fare un filosofo? Secondo la XI tesi su Feuerbach di Carlo Marx deve trasformare il mondo.

Secondo me anche. Siamo d’accordo.

C’è un punto però su cui non siamo d’accordo: Marx dice che “I filosofi hanno soltanto interpretato il mondo”.

Cosa vuol dire soltanto? Interpretare il mondo non è anche lui un modo di cambiarlo? A me sembra di sì. Il sapere non è forse uno strumento? Non è LO strumento?

Nella filosofia della storia di Marx la cultura filosofica resta una sovrastruttura, e in quanto tale non è davvero determinante nella costruzione del reale. È carina, ma sostanzialmente decorativa. Poco utile.

E viene da sé che il filosofo, che si occupa di parole, che spende il tempo sui libri o passeggiando nella stoa gli sembra uno che butta via il tempo, uno che viene meno al suo dovere di essere vivente (o alla prudenza) e si chiude nei suoi sogni.

Per Marx, l’unico filosofo buono è quello che si occupa di politica. Per me no. Anzi, io diffido un po’ dei pensatori che dopo aver “scoperto” una verità, o dopo essersi illusi di avere scoperto LA verità si rimboccano le maniche per passare dalla teoria alla prassi.

Il filosofo del pensiero forte e’ un po’ come l’uomo religioso: si innamora della sua verità e si indigna di quelli che non la vedono come lui, è tendenzialmente un assolutista. E quando ci si sente spalleggiati da Dio, dal mondo delle Idee, dallo Spirito Assoluto o dal Materialismo Storico è facile perdere il senso della prospettiva e trascurare quegli strani animaletti con due gambe che sono gli uomini, e che sembrano un accidente della realtà piuttosto che una cosa importante. Ed è facile mettersi a premere un grilletto.

Quando Marx diceva ai filosofi di cambiare il mondo, chiedeva loro di guidare la rivoluzione proletaria. Che Liebnitz facesse fare passi avanti alla matematica a lui non interessava, tutte sciocchezze.

Ora a me pare che i filosofi il mondo lo hanno sempre cambiato, in tanti modi diversi da quelli indicati da Marx e credo non peggiori.

...............

Ma tutto questo c’entra solo un po’, perché nonostante le illusioni che ho avuto a vent’anni io un filosofo non lo sono.

Sono un poveretto che legge giornali e poesie, ascolta l’opera, canta, scrive un blog, insegna, fa qualche conferenza e studia. E fa anche altre cose meno nobili.

Cambio il mondo?

Solo un po’, credo. Però un po’ sì. Come lo hanno cambiato in tanti anonimi prima di me. Lo cambio sforzandomi di capire. Lo cambio scrivendo poesie. Lo cambio parlando. Lo cambio tenendomi i miei dubbi. Lo cambio qui sul blog.

Che cosa c’entra questo con il consumismo? Che cosa c’entra con “la becera soddisfazione dei bisogni”?

5 commenti:

Anonimo ha detto...

non è questa la sede per fare un ripasso di marxismo. comunque la visione del marxismo contro cui ti batti è in gran parte solo una maldestra semplificazione del pensiero di Marx. magari una semplificazione cui hanno aderito per anni gli "ortodossi" della seconda Internazionale o gli stalinisti, ma rimane una semplificazione.
il cuore del tuo messaggio è piuttosto un altro: il rifiuto di vedere (al contrario di Marx, ed è questo il vero significato - dialettico - dell'XI tesi su Feuerbach) l'unità inscindibile di teoria e prassi, frutto dell'unità inscindibile di struttura e sovrastruttura.

Anonimo ha detto...

Hegel (che ti piace tanto citare) diceva che per essere filosofi è necessario cominciare con lo spinozismo. La sostanza di Spinoza, l'unità (meccanica) dei due modi dell'essere, ossia'il pensiero e l'estensione: questa è la base di ogni filosofia matura, e la base da cui parte Hegel (e di seguito Marx).
Marx, mutuando da Hegel, aggiunge però un elemento nuovo, e decisamente rivoluzionario. da una concezione meccanicistica del rapporto fra teoria e prassi, fra essere e dover essere, si passa ad una concezione dialettica. l'unità dialettica fra teoria e cambiamento, questo è il motore della storia. il che presuppone, come tu dici, la fase dell'interpretazione. ma non si esaurisce con l'interpretazione.

Anonimo ha detto...

ma volendo andare ancora più oltre, mi stupisce che nella tua risposta non sembri cogliere una contraddizione. se ritieni (com'è giusto) centrale il momento dell'interpetazione, presupponi già che l'uomo Vittore, tramite la ragione, ha gli strumenti per interpretare e comprendere. la base di ogni cambiamento del reale è, in altri termini, la conoscenza del reale. ma chi come te propugna un pensiero "debole" preclude a sé ogni possibilità d'azione concreta, perché dubita in primo luogo della sua stessa capacità di comprendere.

Anonimo ha detto...

peraltro la stessa contraddizione fra pensiero "debole" e pensiero "forte" è di fatto ideologica. cosa c'è di "debole" in una teoria che - partendo da constatazioni arbitrarie (perché se non c'è realtà oggettiva, sulla base di cosa si fa il confronto per stabilire quale posizione è meno arbitraria di un'altra?) - che c'è di debole, dicevo, in una teoria che nega la realtà oggettiva e pretende di imporre questa sua negazione facendone la legge in base alla quale interpetare il mondo e pertanto anche il pensiero altrui? più che debolezza, in italiano questo si chiama arroganza, ed il pensiero "debole" è sinonimo di pensiero "arrogante"

Anonimo ha detto...

a questo punto, ci sono solo due possibilità:
a) o, pur consci del proprio pensiero "debole", si decide che, debole per debole, è indifferente seguire una teoria oppure un'altra e quindi ci si accoda agli irrazionalismi di peggior stampo (come Heidegger con il nazismo);
b) o ci si illude di poter cambiare qualcosa nel proprio "particulare", ritraendosi a vita contemplativa. mi sembra un atteggiamento che un tempo si definiva "piccolo borghese".