giovedì 18 ottobre 2007

Ieri mattina siamo partiti da Exmouth. Sedici persone a bordo, il normale equipaggio di quattro persone, lo skipper della piccola barca d’appoggio che ci accompagna, un pescatore che sa il fatto suo e dieci turisti, quasi tutti giovanissimi, anzi, giovanissime, che viaggiano e si adattano a qualunque lavoro per tirar su un po’ di denaro. Il clima era dolce, il vento moderato e a bordo molta aspettativa: “Quando si salpa?” E appena lasciato il porto tre balene (Humpback whales in inglese, ma chissà come si dice in Italiano) ci hanno salutato con i loro salti e gli sbuffi ciclopici dei loro respiri. A sera dopo cena l’umore era alto. Qualche birra più di quella che i giovanissimi turisti dovrebbero bere e con le sigarette che ne accendi una con il mozzicone dell’altra. E poi i maschi si sono messi a pescare, e i pesci venivano quasi sempre strappati all’amo dagli squali che a volte uscivano dall’acqua per non lasciarli sfuggire. Era avventura.
Ma poi stamattina è iniziato il lavoro vero, alle cinque e mezza, sporco e puzzolente, ed i sorrisi sono per il momento scomparsi dalla bocca di tutti, specialmente delle ragazze che trovano la puzza insopportabile. E anche a me non piace mica molto.
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In barca i momenti non sono tutti facili, e neppure tutti difficili. Hannah mi ha detto che sorridere e meno faticoso che stare imbronciati. Così lei sorride. Dio la benedica. Mi piace la saggezza naturale dei ragazzi, quando buca la crosta dell’adolescenza presuntuosa. Sorriderò anche io.
Si è rotto lo scaldabagno. Cosa ne so io di scaldabagni? Nulla. So che si accendono e che scaldano l’acqua. Così oggi ne ho aggiustato uno. Ieri sera l’interruttore dello scaldabgno è saltato. Io l’ho rispinto su una, due, tre volte. L’ho tenuto su.
È un buon modo per provocare un incendio. La prossima volta non lo tengo su, lo giuro. Così dopo che dallo scaldabagno sono uscite scintille spaventose e fumo nero, un po’ impressionato mi sono fermato a pensare. Ho lasciato l’interruttore staccato, e ho aspettato sperando che il fumo cessasse. Ho preso il multimetro (il mio dizionario traduce così l’Inglese multimeter. Uso quindi la parola seppure con un certo scetticismo perché non credo di averla mai sentita prima) ed ho controllato con cautela che non ci fosse corrente da nessuna parte.
Uno scaldabagno che va in corto circuito perché l’acqua gocciola tra i suoi circuiti elettrici sembra a me uno scaldabagno da non fidarsi, anche se l’ho asciugato per bene e cambiato i fili carbonizzati dalla mia testarda presunzione che bastasse rispingere su l’interruttore per rimettere le cose a posto. Così stamattina, mentre tutti pulivano ed aiutavano a crescere piccole ostriche io mi cimentavo nell’aggiustatura dello scaldabagno. Non è poi troppo difficile. Si cerca da dove gocciola l’acqua, poi ci si pensa su. E non ci si pensa mai abbastanza, posso dire forte della mia esperienza. Ho chiuso l’acqua, ma ho vuotato i tubi usando un rubinetto con i tubi troppo in alto. Così quando ho svitato i bulloni della guarnizione sono stato investito da una quarantina di litri d’acqua. Poco male, non c’era corrente.
Il problema da risolvere era che le viti che fissavano le resistenze non erano più in grado di essere strette abbastanza nelle loro sedi, così l’acqua sotto pressione gocciolava. Io non so davvero che cosa bisogna fare in questi casi, probabilmente cambiare lo scaldabagno (tra parentesi ho imparato proprio ieri ad usare una saldatrice, cosa che viene utile in mille occasioni).
E mentre i lavoratori accaldati davano qualche segno di impazienza per la mancanza d’acqua (dolce, di quella salata ce ne era dappertutto), ho sistemato la cosa con due bulloni con dado che tengono provvisoriamente ben compressa la piastra della resistenza contro la guarnizione ed il corpo dello scaldabagno. Durerà? Suppongo di no, ma per adesso non gocciola. È un progresso. Poi la settimana prossima a terra si aggiusta tutto.
Nel frattempo, per altro il carico elettrico eccessivo ha fatto diminuire i MHz della corrente prodotta dal generatore. Non chiedetemi di spiegarvi di cosa si tratta di preciso perché non lo saprei fare. So solo che dopo un po’ tutto il sistema elettrico della nave in piena attività si è bloccato e che ogni cosa si è spenta. E che quando dopo aver controllato l’olio ed il liquido refrigerante (che c’era, vi giuro che c’era) abbiamo acceso l’altro generatore le cose non sono andate meglio. Il motore è appena stato revisionato e appena si è scaldato i muscoli si è bevuto cinquanta, dico cinquanta, litri di liquido refrigerante. Scomparso nel nulla, così che la sua brava valvolina di sicurezza marca Murphy (si chiama proprio così... sarà quello della legge?) se lo è spento per non farlo fondere. Per fortuna. È mancata la luce e la produzione si è spenta. Un po’ di dramma e di attività frenetica e la luce è ripartita col bel rombo del diesel ancora in funzione.
Ma poi stasera, proprio adesso prima di tornare nella mia quieta cabina, l’odore di diesel ha richiamato l’attenzione di qualcuno che ha richiamato la mia e sono ritornato in sala macchine. Uno dei filtri di carburante del generatore ha un buco. UN BUCO! Ma come se lo è fatto? E il disel correva a rigagnoli sul motore bollente.
Alternatore spento. Acceso l’altro, quello che stamattina non riusciva a produrre abbastanza corrente. Si sa, quando non ci sono i cavalli corrono anche gli asini, e questo vale sia per i motori diesel che per i meccanici.
Così domani alle 6 di mattina ho un bel lavoretto da fare e tante nuove cose da imparare.

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