martedì 4 aprile 2006

Io se penso al Giappone

Pensieri sparsi e confusi.

Il mio amore per Puccini si mescola da sempre con il mio amore per l’Oriente. La “povera Liù”, la delicata Cio Cio San, si sovrappongono come sagome ideali alle donne orientali che ho conosciuto ed amato. E le rendono ancora più belle. Donne delicate, dolci, incantevoli, innamorate, oppure pratiche, o dure. Oppure tutte le cose insieme.

Per anni, è stato una specie di abbaglio, un’ebrezza in cui alla voce ed agli occhi di persone vive si sovrapponeva la musica dolce del coro a bocca chiusa, quello in cui Butterfly passa la sua notte inutile e solitaria sulla collina di Nagasaki. Un’allucinazione deliziosa in cui tra le parole ordinarie delle mie amiche mi apparivano, in frammenti pieni di significato, le parole di desiderio con cui Pinkerton e Butterfly si afferrano e si rinchiudono nella loro stanza nuziale, o quelle disperate di Liù, la mia Liù che correrei, se Dio me ne desse il destro, a prendere per mano, ad abbracciare, ad amare...

Quando ero giovane, tanti, tanti anni fa, vivevo ad Edimburgo e mi innamorai di una ragazza delicata. E scrissi per lei questa poesia:

Giunko Kitamoto

Io se penso al Giappone, al Sol Levante,
ho un’idea strana, un po’ da cartolina
illustrata: una Butterfly piccina
come un bimbo, coraggiosa e tremante;

grotteschi draghi e ali d’aquiloni
che a mille a mille tirano nel vento
impalpabili fili che son cento
righi per scrivere aeree canzoni;

ciliegi in fiore e perle dentro al blu
pacifico su cui l’American
mendace piangeva Cio Cio San,
senza speranza di vederlo più.

Io ora t’incontro figlia del Giappone.
L’età tua non è più per i balocchi
o i confetti, né per i giochi sciocchi;
ma sempre ritagliata nel cartone

di un paravento antico tu mi appari
o immagine di perla. Ora che lento
del tuo Paese il mito cangia il tempo
sembri uscir dal Genji Monogatari.

Ora che a primavera cedi e un cono
gelato audace acquisti, e calorie
pensosa andando conti per le vie
di Edimburgo ospitali, io in un kimono

di nonna serico e ricco ti vedo,
che al dovere e allo sposo sorridendo
inchini mite il capo pur piangendo
silenziosa e grande nel cuore. E cedo

al sogno, che è realtà perché l’inchino
garbato è vero, e vero è anche il sorriso
radioso che amo e illumina il tuo viso,
forse per compiacer chi ti è vicino.

Misteriosa fanciulla a cui non so
mai carpire i pensieri, tentazione
più grande non avrò che col tuo nome
- Giunco - giocare, fingendo per un po’

che il tuo nome leggero forse sia
del leggero tuo corpo, del ridente
tuo volto e mite grazia adolescente
inspiegabile e arcana profezia.

Edinburgh, aprile 1995

Non è una grande poesia, come quasi mai sono le poesie che ho scritto. È un po’ complicata, con troppe citazioni. Ma è mia. Ancora. Dopo tanti anni.

E che nome... che nome! Non possiamo non restare a bocca aperta davanti ad un popolo che dà nomi così alle sue donne: Giunko.

.......................

Così quando c’è Puccini al teatro dell’Opera ci vado. Ci vado sempre. Anche in Australia. Anche se a volte esco con la bocca amara, scontento di vedermi strapazzare le mie arie carissime.
Ma non sempre. Questa volta no.

Al Western Australia Opera questa sera il tenore Pinkerton canta bene, come canta un giovane irresponsabile e pieno di vita! Voce brillante, piena di entusiasmo, di un'arroganza che ancora non sa la sua colpa. Butterfly è secca e senza grazia - così chiudo gli occhi per non guardarla - e ha la voce un po’ scura. Ma sa il suo mestiere e poi canta bene in Italiano (che male al cuore mi fanno gli assassini della mia lingua sul palcoscenico!). Anche il Console americano, anche Suzuki sono bravi. Anzi, Suzuki è anche graziosa, più femminile di Cio Cio San. Lei la guardo. Dio mio, l’opera è già fatta!

E poi la Madama Butterfly si presta a queste scene color pastello, piene di fiori, piene di grazia, forse troppo leziose, ma forse no.

Così quando, dopo lunghissima attesa, la purissima bambina giapponese arriva finalmente in scena, sono già stordito dal tagliente contrasto tra un Occidente sonoro e aspramente spigoloso ed un Oriente delicato come un profumo, in cui Pinkerton si muove come uno straniero, facendo presagire il disastro che, si sa, deve arrivare. O forse dal contrasto tra il mondo maschile, violento, teso come un muscolo, e quello femminile morbido come un seno.

E così il mio cuore scarroccia, sotto il vento sempre più teso dell’emozione, e va dove vuole. E quando Butterfly con pena indicibile canta l’abbandono del suo popolo per amore, quando capisce di essere rimasta “sola e rinnegata” nelle braccia dell’uomo che ama, “rinnegata e felice”, la mia testa si annebbia e d’un tratto piango anch’io, del mio pianto più assoluto e incontrollabile, come una fanciulla di quindici anni, con singhiozzi silenziosi che cerco di nascondere per non disturbare. E un po’ anche per vergogna, ma inutilmente.

Dio mio, grazie! Grazie del privilegio straordinario di ascoltare ed amare la musica di Puccini!

2 commenti:

slow ha detto...

yes, yes and yes... and Liù and Ciò Ciò have the duality of all deep human emotions - they love and suffer, they wait and follow, they feel too much, live too much, untill it becomes unbeareable or they become mad... it's absolute and universal. They are written, of course by an ocidental, but one fascinated like you by the Orient - from where a lot is yet to be learned. I know you don't like the movies so much, but you'd be amazed with the intensity of some chinese and japanese movie directors. And in the dark it's easier to cry... :)
até breve, amigo.

Unknown ha detto...

Ate' breve amiga, e obrigado.