sabato 15 aprile 2006

In giro

Eccoci qua, in viaggio. Esmeralda si è un po’ fiaccata della barca. Non lo dice perché sa che il tema è cruciale nei miei futuri possibili, e complesso da trattare.

Però tant’è, per un po’ di tempo non potrà fare immersioni, ed è anche prona più del solito al mal di mare. Così in questo lungo fine settimana di Pasqua in cui abbiamo – miracolo – quattro giorni liberi sia io che lei, mi ha chiesto di andare in giro a piedi, da qualche parte.

Ho cercato di far revisionare la macchina, sono in ritardo di un secolo, ma non c’è stato niente da fare. Sembra che nella settimana prima di Pasqua in Australia Occidentale non ci sia un meccanico libero.

Non fa niente. Ho controllato l’olio e mi sembra a posto. Così ho tirato fuori la vecchia tenda, ho comprato un materassino gonfiabile per due (perché se mi ricordo bene la terra è dura) e sono partito.

Settecento chilometri a nord, oltre Geraldton, dove l’Australia si vuota di gente e si riempie di canguri e di qualche altro animale.

Siamo a Kalbarri National Park. Lo avrete visto nelle fotografie dei libri: sabbia e rocce erose dal fiume e dal tempo, e piante basse e rade. Un posto fotogenico.

Questa mattina siamo andati a camminare. Mi sentivo un leone. Una camminata che avrebbe dovuto riportarci al punto di partenza, un anello. Cosa sono quattro ore di camminata confortevole? Mi aspettavo il solito curatissimo outback australiano, di avventura a modino, sotto controllo.

Ci siamo avviati fra rocce sporgenti, che sembra che il tuo peso le potrebbe far cadere. A volte “su” rocce sporgenti, su sottili lastre orizzontali che suonano vuoto sotto i piedi.

Magnifico. Siamo in Australia, se ti ci lasciano andare deve essere sicuro.

Ma poi il sentiero si è interrotto perché l‘acqua alta del fiume aveva invaso il tracciato. A io ed Esmeralda niente, impavidi, arrampicandoci tra le rocce per vedere se si passava comunque. Ed io ero sempre un leone.

Ed i segnali sono scomparsi. Poi è scomparso il sentiero, così, nel nulla. C’erano ancora impronte di umani, ma rade, e soprattutto sabbia e rocce lungo il greto di un fiume limaccioso. E canguri che guardavano curiosi e poi saltavano via indaffarati a brucarsi qualche erba dura, pappagalli verdi e qualche capra. Capre selvatiche in Australia? Non finisco mai di imparare.

Oddio, non ci saranno mica i coccodrilli? Chiede Esmeralda con più buon senso di quanto non possa sembrare, perché insomma, siamo a nord. Nego con decisione, ma quando mi avvicino all’acqua torbida in qualche passaggio che lo richiede guardo bene cosa galleggia sotto il pelo dell’acqua.

E’ caldo, caldissimo per i miei jeans e la mia camicia con le maniche lunghe. Sono fatto così, mi è rimasta l’idea che nel bosco ci si va “ben vestiti”, ben protetti che ci sono le vipere! Il leone che c'è in me si addormenta pian piano. Anzi sviene, credo.

Abbiamo poca acqua, e non c’è neanche un po’ d’ombra. Non ho il telefonino che comunque non avrebbe “preso” la linea. Non ho il mio GPS, accidenti, l'ho dimenticato a casa nella fretta di impacchettare. Perché mi dimentico sempre tutto?

Quando è stato il momento in cui la luce del giorno ci avrebbe sicuramente ancora consentito di ritornare indietro sulla strada gia percorsa, ho chiesto alla mia avventurosa compagna di camminata se voleva tornare. Mi sembrava una soluzione di buon senso. Speravo che dicesse di sì, ma lei ha detto di no.

Andare avanti! Accidenti, ma in Australia ci si perde per davvero, non è mica il monte Cusna. Qui chi si perde, capace che non lo ritrovano più. Ci sono distanze grandi come l’Italia, e poi ancora, e poi ancora... tutte vuote. Solo canguri e capre e pappagalli. L’idea di fare notizia come turista perduto non mi piaceva neanche un po’. Ogni tanto al telegionale ne parlano di quelli che si perdono. Quasi infastiditi che la gente si permetta di perdersi e che si debbano spendere tanti soldi per cercarli con gli aerei quando basterebbe avere una cartina ed un gps da 200 dollari e non si perde più neanche un bambino. Neanche in Australia.

E le mie gambe sono diventate di legno. La mia bocca secca. E via a camminare. Ed Esmeralda con il sorriso sulle labbra. Anche quando l’acqua è finita e abbiamo cominciato a sognare una fetta di cocomera gelata, o almeno l’acqua minerale aperta lasciata nella macchina al sole. Il sole che per altro stava evidentemente calando.

Era stanca la metà di me. Accidenti, che pappetta! Con tutte le mie arie da uomo selvaggio ed i miei sivali R.M.Williams. Avevo addirittura la nausea e le mani gonfie e rosse. Forse mi sono anche preso un bel colpo di calore.

Cosa dovevo fare? Curva dopo curva ho continuato ad andare avanti, aspettando si rivedermi, lassù in alto, il punto di partenza.

Ma poi non ci eravamo mica persi. Lo sapevamo, anche se la unica cartina che avevo era il depliant della guida al parco che ti danno all’ingresso. L’ansa del fiume si richiudeva attorno a noi. Perdersi nel senso vero sarebbe stato quasi impossibile.

E infatti, finita la costa mangiata dall’acqua, quando ritornare avrebbe significato ormai arrampicarsi per rocce insicurissime in piena notte, i segnali sono riapparsi, sorridenti con il loro bel bollino rosso. Ed io ero tanto stanco che ho barcollato fin sulla cima della montagna, poi mi sono tolto lo zaino, la camicia e la maglietta e mi sono coricato su una roccia, nell’ombra, a lasciare che il vento raffreddasse il mio corpo.

Quando siamo tornati a Kalbarri, al negozio del paese di cocomera non ce n’era più.

2 commenti:

slow ha detto...

As minhas homenagens e admiração aos bravos exploradores da selvagem Austrália... relato impressionante, Vittore!

Anonimo ha detto...

brava Esmeralda l'hai steso!!! e tu Vittore non te la sei cavata poi così male dai!!! bacioni